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Vite di scarto alla ricerca della socialità perduta

L’obiettivo di Torpedo è quello di cambiare prospettiva. Di rinnovare lo spirito quotidiano con cui vivere la realtà che che ci circonda: Una realtà che, ogni giorno di più, attraverso l’ossessione per il denaro ed in nome dell’arricchimento come unico scopo di vita, filtra e sporca con la sua matrice egoistica, tutti quei momenti di Aggregazione che dovrebbero essere invece contraddistinti dalla Fratellanza e dalla Gratuità. La valorizzazione della socialità, l’utilizzo comune degli spazi, la naturale collettivizzazione dei problemi della vita sono le ragioni che stanno alla base del pensiero e dell’azione politica del gruppo Torpedo.
Con momenti di Aggregazione, ci riferiamo in primo luogo alla Cultura e all’Arte, e più in generale a tutta ciò che è creatività e inventività: una parte fondamentale dell’uomo che è per definizione libera ed indipendente e che, invece, è resa sempre più inevitabilmente succube e funzionale sistema della compravendita.
Ci riferiamo anche e soprattuto al modo stesso di vivere i rapporti sociali, di vivere l’amicizia, di vivere i sentimenti, di vivere insomma tutto ciò che è condiviso, e che, per forza di cose non può e non deve essere influenzato o addirittura manovrato da dinamiche individualiste come quelle dettate dal denaro.
L’Individualismo come unica forza motrice dell’uomo è proprio la caratteristica fondamentale di un occidente che, ormai in crisi, in nome di un finto benessere consumista, ha dimenticato (o ha voluto dimenticare) la bellezza e l’importanza del momento collettivo.
Questo tipo di dinamiche si applica perfettamente alla città di Lucca: la città che ci ha cresciuto e che amiamo. Una città che però tende fortemente all’egoismo e alla tutela del proprio spazio vitale a scapito del sentimento collettivo che vorremmo promuovere. Lucca è una città impaurita, che stimola all’incontro superficiale e alla non fiducia nell’altro. Una città che, nel momento di forte crisi che stiamo vivendo, ha tradotto le sue prerogative individualistiche nella cieca sudditanza alle dinamiche di mercato: “Chi può permettersi di pagare di più sopravvive, il resto, indistintamente, se ne va.” Ed è così che ci ritroviamo a vivere la città oggi. Una città che vede sotto attacco i pochi centri di aggregazione rimasti. I circoli e i cinema spariscono, per lasciare posto ai lussuosi appartamenti e alle vetrine delle grandi catene. Gli spazi liberamente fruibili e i luoghi d’incontro gratuiti sostanzialmente non esistono e in particolari modo i giovani vivono con perenne frustrazione e difficoltà questa città che, evidentemente, non gli hai mai apprezzati.
L’Obiettivo che cerca di perseguire Torpedo è quello di riuscire, passo dopo passo, a spezzare tutti quei vincoli, prima di tutto mentali, ma poi in particolar modo burocratici e fisici, che ci impediscono di vivere la Socialità nel modo migliore. L’Obiettivo è cambiare prospettiva.
Una prospettiva che però è ancorata, come detto, in anzitutto, a vincoli mentali insiti nella città stessa e in modo più ampio nella società in cui viviamo. L’essenza di questi vincoli sta nel fatto che si consideri un gruppo di persone che si ritrova in un assemblea come una minaccia sociale. La capacità di ritrovarsi in più individui con l’intento di collettivizzare un problema e cercare di risolverlo, di lavorare insieme perché tutti ne traggano un vantaggio personale, è un processo fondamentale nella storia dell’uomo, è l’idea che sta alla base della politica e dell’evoluzione della società. Una società che oggi, invece vuole considerare l’individualismo, la “cura del proprio giardino”, come l’unico valore positivo da tutelare strenuamente. La nostra città ha dimostrato più volte, attraverso le forze dell’ordine, di non considerarci come una risorsa, ma come un problema di ordine pubblico. La repressione nei nostri confronti da parte delle forze di polizia è un elemento a cui ormai siamo abituati: il controllo, anche personale, di ognuno di noi è una costante. A questo si uniscono spesso l’intimidazione e soprattutto l’impossibilità ad attuare tante delle nostre iniziative. In tutto quello che abbiamo fatto in questo primo paio d’anni di attività (feste sul fiume, spettacoli teatrali al Mercato del Carmine, cineforum, volantinaggi informativi, autogestione del Centro Culturale Agorà), non abbiamo mai mancato di rispetto ai luoghi che abbiamo attraversato e alle persone che abbiamo incontrato e abbiamo perseguito come unico intento quello di dare un servizio in più alla popolazione; la considerazione che le forze dell’ordine hanno di noi risulta, dal nostro punto di vista, totalmente incomprensibile. Questa considerazione è sicuramente un effetto della paura dominante in questa città. Una paura, una malfiducia, che costringe a isolarsi e a non credere mai nella buona fede dell’altro, e a desiderare quindi sempre il maggior controllo possibile.
Il timore e la smania di controllo hanno come altro effetto concreto la creazione dell’altro vincolo a cui accennavamo prima. Quello Burocratico: la necessità di una regolamentazione totale di ogni aspetto della vita crea un labirinto irrisolvibile di leggi e cavilli da cui è praticamente impossibile uscire illesi. Regolamentazioni sulla vendita, sugli alimenti, sulla riproduzione della musica, sugli spazi, sulla sicurezza; è probabile che su 10 eventi di qualsiasi genere che coinvolgano più di 50 persone ce ne sia 1 completamente a norma. Questo ci fa capire quanto il sistema di leggi messo in piedi in questi anni abbia completamente fallito: quando ci si rende conto che prevaricare i limiti della legalità è una necessità, è il momento di voltare pagina. Questo è quello che vogliamo fare noi: scalfire il sentimento reazionario dominante che, con ipocrisia, si aggrappa a dalle leggi che non può rispettare.
Il terzo vincolo è quello fisico: il vincolo che riguarda sostanzialmente l’assenza di spazi direttamente fruibili, esso è causa ed effetto dei vincoli precedenti ed ha bisogna di qualche premessa per essere affrontato:
Gli spazi mancanti che oggi dovremmo vederci elemosinare dalle istituzioni locali hanno, infatti, una storia ben precisa, e forse prima ancora di dire perchè ne sentiamo la necessità dovremmo comprendere le motivazioni per cui questi vengono a mancare. La questione che vogliamo quindi portare alla base della discussione non è quindi è la classica esposizione di cosa vorremmo fare con degli ipotetici spazi ma è: dove sono andati a finire gli spazi pubblici?
Non partire da qui vorrebbe dire affrontare il problema marginalmente o ancor peggio essere ipocriti, cioè non comprendere il processo storico che ha portato la città ad essere così come è adesso. Le tematiche di cui oggi qui si discute sono le stesse che 10 anni fa i movimenti sociali hanno portato in piazza nei tempi della giunta Fazzi e che non trovarono alcuna risposta, e che ancora oggi sono di un’attualità sconcertante.
Come detto in precedenza, la spiegazione dello svilimento e della progressiva privatizzazione degli spazi pubblici può essere trovata solo nel pieno dispiegarsi delle politiche liberiste, che in questa città hanno trovato una culla favorevole in cui crescere e sviluppare i loro effetti devastanti. L’attuazione di queste politche ha teso negli anni a reprimere qualsiasi forma di associazionismo e di politica dal basso, costruendo la città idilliaca per il perfetto consumatore ma al tempo stesso svuotata da qualsiasi significato sociale. La distanza che si è voluta creare tra la gestione della città e la cittadinanza “inattiva” tratta il cittadino come incapace a priori di gestire i beni comuni ( i pochi rimasti ), lo riduce a spettatore di ciò che succede e tende a ritenere le sue idee e i suoi consigli come qualcosa di superfluo e proveniente da un soggetto “incompetente”.
Si preferisce quindi vendere il pubblico ai privati e affidarsi alle fondazioni bancarie: per esempio non possiamo non tener conto di tutti gli spazi venduti all’istituto per l’alta formazione IMT (di cui la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e la Fondazione Banca del Monte di Lucca sono i primi finanziatori attivi) e a cui il comune di Lucca versa ancora 600.000 euro annui come se nulla fosse.
I restanti luoghi pubblici (e per pubblici intendiamo intestati a enti pubblici) sono stati lasciati al completo abbandono o messi in vendita (da questo punto di vista la giunta Tambellini non ha affatto segnato un’inversione di tendenza, anzi).
Triste conseguenza di questa politica è quindi la città bigotta che ci troviamo davanti, dove non esiste una città “pensante” capace di produrre pensiero critico e di mettere in discussione con l’attivismo dal basso l’apparato economico -politico oggi esistente. Una città completamente vuota dopo l’orario di chiusura dei negozi, completamente gestita dalle ronde poliziesche che durante la notte dettano l’unica legge a loro plausibile, sancendo di fatto un coprifuoco.
E’ per tutte queste motivazioni, per far evolvere positivamente la città, che consideriamo l’attuale situazione degli spazi come profondamente vincolante, ed è per questo che noi proponiamo una nuova e necessaria visione di essi.
Il nostro lavoro parte proprio dal ricostruire un tessuto sociale cittadino consapevole, pensante e critico. Il nostro obiettivo è cercare di instaurare tra i cittadini nuove relazioni improntate alle solidarietà, alla condivisione e alla collettivizzazione dei disagi e delle aspirazioni. Gli spazi sociali che tanto desideriamo sono la base fisica indispensabile per dare inizio a questo lavoro e per distruggere quelli che sono i 3 vincoli suddetti. Le istituzioni hanno dimostrato di non voler gestire al meglio gli spazi esistenti e al contrario li hanno mandati in malora e si sono rese corresponsabili della loro privatizzazione. Non possiamo quindi pensare di affidare a loro la risoluzione di questo problema, consci che le tante belle promesse fatte in passato sono finite puntualmente nel nulla. La risposta può essere una sola è sta nell’autorganizzazione dal basso. Gli spazi dunque non possono che essere riconquistati, gestiti e difesi dagli utenti stessi.

La generazione che vogliono piegata dalla crisi capisce ogni giorno la bontà di queste argomentazioni e la necessità di attuarle.

Anche qui a Lucca il percorso è iniziato, la città che dorme si sta svegliando. La prospettiva incomincia a cambiare.